L’avaro è un individuo meschino, capace di ogni bassezza, insopportabile alla società in cui vive. La sua figura è avvolta in ogni tempo da biasimo e condanna, ironia e disprezzo. Una fisionomia che ha le sue radici nel mito e nelle sue più recenti riscritture: Creso, Euclione, Shylock, Arpagone, Ebenezer Scrooge, Paperon de’ Paperoni, Gordon Gekko. Nomi che si rincorrono nei secoli per disegnare un identikit spregevole. L’opinione comune di una vita che oscilla perennemente tra il vizio e la virtù, in una lotta costante, pone l’avidità, il febbrile desiderio di possedere, alla base del comportamento dell’avaro. Eppure, la vita non è un gioco di estremi e le sfumature sono molte. Avarizia è termine proteiforme, che può indicare diverse cose, in relazione ai tempi e ai luoghi. Quante sono le sembianze dell’avaro? In quanti modi si possono descrivere? E quanti significati racchiude il vocabolo “avarizia”? La questione resta aperta, come accade ai grandi temi di lunga durata.
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