A cominciare dagli anni Ottanta, il mondo dell’arte sembra vivere all’insegna del business e ammettere tra le proprie fila prevalentemente gli artisti favoriti dal mercato, definiti qui come “professionisti”. La carenza di criteri accertabili dei fenomeni artistici, un tempo ritenuti riconducibili al mistero della creatività, appare ora colmata nelle aleatorie negoziazioni tra gli artisti e i loro comprimari nel sistema, tra l’opera e il campo della sua fruizione, tra il mondo dell’arte e gli altri ambiti. L’arte come creazione umana capace di dare forma e vita a quel che prima non c’era ha perso di credibilità. Eppure, una tale perdita è addirittura propizia al tipo di prestazione richiesta all’artista in un contesto dominato dall’affarismo turbocompresso. Si potrebbe ipotizzare, quindi, una vera e propria decadenza? Questa è una delle domande che guidano il saggio di Gabriele Guercio. Per rispondere, vengono riesaminate le figure di dilettante, professionista e maestro, analizzando la loro evoluzione storica nella pratica artistica moderna. Ripercorrendo le traiettorie dell’arte otto-novecentesca da cui ha preso avvio la caduta, l’autore suggerisce modelli per tentare di riparare il danno. Il testo si estende dal Romanticismo ai giorni nostri, trattando una vasta gamma di artisti, critici e storici dell’arte. In particolare, sono presenti affondi rivolti alle opere di alcuni contemporanei come Jeff Koons, Maurizio Cattelan, Charles Ray, Sophie Calle, Francis Alÿs e Anselm Kiefer, contrapponendo casi che suggeriscono un processo di dipendenza e declino, a casi che sembrano indicare persistenti forme di autonomia.
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