Perché mai alcuni dei maggiori filosofi radicali del Novecento hanno sviluppato concezioni forti di anarchia stando però ben attenti a non dichiararsi anarchici? Sembra quasi che l'anarchismo sia qualcosa di inconfessabile, qualcosa da occultare anche quando gli si ruba l'essenziale: la critica del dominio e della logica di governo. Ed è appunto questa dissociazione paradossale che viene qui analizzata, questa rimozione di quello che è il cuore della problematica anarchica: la praticabilità politica dell'assenza di governo. Sebbene questi filosofi abbiano tutti concorso a smantellare il paradigma archico, nondimeno hanno costruito il loro discorso come se fosse ex nihilo, celando il furto da cui deriva e rifiutandone gli esiti. Insomma, destituzione del paradigma archico, sì, decostruzione del dominio, sì, ma effettiva possibilità che gli uomini possano vivere senza essere governati né governare, no. Ma è appunto qui che il paradigma archico si riattiva, in questa incapacità di abbandonare l'ambito del governabile e di accedere invece allo spazio del non-governabile, ovvero del radicalmente altro, del radicalmente estraneo al rapporto comando/obbedienza. Come l'anarchismo, appunto.
Biografia: Catherine Malabou (Sidi Bel Abbès, 1959), allieva di Jacques Derrida, oggi insegna filosofia presso il Centre for Research in Modern European Philosophy della Kingston University di Londra e presso la University of California di Irvine. Dopo aver approfondito il pensiero di Hegel, Heidegger e Derrida, ha rivolto il suo interesse anche al pensiero di Freud e alla psicoanalisi, nonché alle concezioni più originali della riflessione femminista. Autrice di numerosi saggi tradotti in varie lingue, in italiano sono usciti Cosa fare del nostro cervello (Armando 2008), Che tu sia il mio corpo (Mimesis 2017), Avvenire e dolore trascendentale (Mimesis 2019), Divenire forma. Epigenesi (Meltemi 2020), Metamorfosi dell’intelligenza (Meltemi 2021), Il piacere rimosso. Clitoride e pensiero (Mimesis 2022), Il trauma: ripetizione e distruzione? (con Slavoj Žižek, Galaad 2022) e La plasticità al tramonto della cultura (Ortothes 2023).
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