Un memoir senza sentimentalismi. Suzanne è la madre di D. Belloc, l’autore di questo libro; l’Andalusa era sua nonna, bella, capricciosa e volitiva moglie del comunista Nazaire dalle mani d’oro. Suzanne apre un vecchio album ed estrae alcune fotografie. Il figlio scrittore le descrive quasi con distacco, mentre lei racconta a colori vivi e senza giudizi morali la prima parte della sua vita. L’infanzia in una famiglia libera e squinternata, la sorellina morta, gli zii ricchi e il suo grande amore: Lucien detto Lulu, abbattuto nel ’51 durante un incontro di boxe in una sagra di paese quando ha venticinque anni, Suzanne ventidue e il loro piccolo D. neanche due. Lulu, alcolista da sempre come un po’ tutti in famiglia, Lulu che il figlio non smetterà mai di maledire per averlo abbandonato così male e così in fretta. Sullo sfondo, la Francia degli anni Trenta e del primo dopoguerra, miserabile e derelitta: la “notte sociale”, come la definisce Marguerite Duras nell’intervista a D. Belloc in appendice al libro.
Racconta dei biberon con il latte mai bianco, ci
mescolavano grappa o vino, «fa bene, dà forza»
dicevano Simon e la rossa. «Non ricordo un pasto
senza vino». Suzanne ascolta, posa un bacio sulle
labbra di Lucien.
«Puoi smettere se vuoi. Sono sicura che ce la farai».
Dice che avrebbe voluto fare il pugile. «Potrei ancora,
sai! Sono bello robusto!». «Ti aiuterò, Lulu. In due,
possiamo fare qualsiasi cosa».
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