Nell’epoca di una scuola assoggettata all’autoritarismo del merito, della prestazione e della competizione, la rilettura di un classico come L’erba voglio torna a essere necessaria. Curato nel 1971 da Elvio Fachinelli, Luisa Muraro Vaiani e Giuseppe Sartori, raccoglie voci di maestre, professori, operai, studenti, psicologi e genitori, e tra diari di classe e analisi collettive emergono questioni tuttora decisive: la valutazione centrata sul voto, la critica al voto di condotta, la lotta alle classi speciali, l’autogestione e l’educazione come relazione. Tra insegnante e studenti ci dovrebbe essere un «uso reciproco in vista di un reciproco imparare e divertirsi e modificarsi insieme», come disse Elvio Fachinelli. Il senso di questa operazione che torna oggi a interrogarci è racchiuso nella domanda posta da un ragazzo e riportata nel testo: «Vale di più un ragazzo vivo o un ragazzo scolastico?». «In un momento in cui il mondo dell’istruzione (inferiore e superiore) in Italia è attraversato da un nuovo e inaccettabile irrigidimento autoritario – con, ad esempio, un Ministro che di nuovo getta sulla scuola vecchi fantasmi di disciplina e gerarchia aggiornati nella veste della più spinta aziendalizzazione – tornare a leggere L’erba voglio significa riannodare i fili di una discussione che rischia altrimenti di ripiegarsi vorticosamente su se stessa» (dall’introduzione di F. Chicchi, L. Negrogno e M. Rovelli)
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