Anche nell'Islam sono previste rigorose discipline di meditazione interiore, non diverse quelle molto più note dell'Induismo, del Buddhismo o del Taoismo. Nonostante la loro storia sia ormai secolare e siano ancor oggi diffuse in gran parte del mondo musulmano, il pubblico occidentale ignora quasi del tutto l'esistenza di simili pratiche. Questo saggio esplora per la prima volta in maniera completa e particolareggiata i metodi di una di queste «Vie» di realizzazione, la Naqshbandiyya. Emersa in Asia Centrale attorno al XII secolo, questa organizzazione iniziatica si impiantò successivamente in India, dove conobbe il definitivo sviluppo. Sue caratteristiche peculiari sono l'invocazione silenziosa del Nome divino, la teoria dei centri sottili, analoghi ai cakra dello Yoga tantrico, le contemplazioni di realtà metafisiche sempre più elevate, il legame invisibile che si instaura fra il discepolo e il maestro. Il libro propone numerosi confronti con le pratiche di altre tradizioni dell'Oriente, che dimostrano come questo «Yoga dell'Islam» si inserisca a pieno titolo e con pari efficacia fra le grandi discipline dello spirito.
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