Nella seconda metà del diciannovesimo secolo August Petermann fu il motore dell'esplorazione dell'Artico. Per il cartografo di Gotha il polo Nord era l'ombelico del mondo e la conquista di questo ombelico il compito più importante dell'umanità. Julius Payer, l'esploratore austriaco che scoprì la Terra di Francesco Giuseppe, chiamò Petermann "padre di tutte le spedizioni". Jules Verne lo trasformò in una figura romanzesca. Eppure, benché all'epoca appartenesse all'aristocrazia internazionale delle esplorazioni polari, dopo la morte Petermann fu presto dimenticato. Il perché è evidente: non era uno di quegli eroi che finivano congelati sul pack. Era un armchair explorer, come si diceva con scherno in Inghilterra, un esploratore da salotto. Petermann dirigeva l'impresa dell'esplorazione polare da una cittadina della provincia tedesca e di persona non si era mai spinto più a nord di Edimburgo. Ecco perché un'ombra di dubbio aleggiò sempre sulla sua reputazione. Per gli uni grande teorico, per gli altri lo svitato dell'Artico. Sulla base delle sue teorie e delle sue carte immaginarie, velieri percorsero i mari ghiacciati del circolo polare artico nell'infruttuosa ricerca di una corrente d'acqua tiepida che consentisse di raggiungere il novantesimo parallelo Nord. Inutilmente cercarono le tracce della spedizione di John Franklin, perduta nella ricerca del passaggio a Nord Ovest; molti smarrirono la rotta e naufragarono tra i ghiacci come la Admiral Tegetthoff di Julius Payer.
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