La storia di Trieste e del suo territorio è straordinariamente complicata. Basti osservare che, nel corso di trentasei anni, fra il 1918 e il 1954, la città passò dagli Asburgo all’Italia, all’amministrazione tedesca dell’Adriatisches Kustenland, all’occupazione jugoslava, all’amministrazione anglo-americana e poi ancora all’Italia. Di grande complessità fu del resto il rapporto fra le identità italiana, slovena e croata. Dalla seconda metà dell’800 il conflitto nazionale aveva incrinato i rapporti fra i diversi gruppi etnici che da secoli convivevano nella Venezia Giulia. In questa regione si incrociavano infatti le direttrici geopolitiche di tre grandi gruppi nazionali (latino, germanico e slavo), con una prevalenza degli italiani nelle città e degli slavi nelle campagne. Con il crollo dell’impero austro-ungarico ebbe inizio la lotta fra i due Stati confinanti: l’Italia, vittoriosa nella prima guerra mondiale, ottenne l’Istria e Fiume, e nel 1941 invase e annesse parte della stessa Slovenia. Nel 1945 la Jugoslavia, nazione vincitrice e alleata degli anglo-americani e dell’Unione Sovietica, occupò tutta la Venezia Giulia, compresa Trieste, rivendicando il confine fino al Tagliamento. È il periodo delle deportazioni e delle «foibe». Con il trattato di pace l’Italia dovette cedere alla Jugoslavia l’Istria, Fiume e parte delle province di Gorizia e Trieste, con il conseguente esodo di circa 300.000 istriani, fiumani e dalmati, in massima parte italiani (ma si dichiararono tali, esercitando il diritto di opzione, anche sloveni e croati che cercavano di fuggire dal regime comunista). L’esodo non fu una libera scelta, ma una decisione obbligata, frutto di violenze, pressioni, privazioni di diritti, insomma una vera tragedia politica e umana. A scegliere la via dell’esilio fu un’intera comunità nazionale, la cui presenza risaliva ai tempi della romanità, con conseguenze irreversibili per la composizione etnica, linguistica e culturale del territorio.
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