Ogni anno le imprese spendono milioni in programmi di formazione, consulenze, ricerche per migliorare la propria attività imprenditoriale. Ma i risultati finiscono quasi sempre per limitarsi a discussioni intelligenti e a riflessioni su come dovremmo comportarci, finendo per posticipare o addirittura sostituire l’azione imprenditoriale: parole, parole e niente pratica. È come se la consapevolezza su come ci si dovrebbe comportare diventasse un bene tangibile, del tutto autosufficiente a giustificare il lavoro dei manager, fino a creare quello strano fenomeno patologico meglio conosciuto come “gap tra il sapere e il fare”. E oggi una delle misure per valutare la qualità di un’azienda è proprio il calcolo della distanza tra le idee e la loro trasformazione in azione. Tra i motivi descritti dagli autori a conferma della ritrosia a passare dalla riflessione alla pratica ci sono la paura e l’inerzia, veri ostacoli che si annidano nella psicologia dei leader o che scaturiscono dalle crisi economiche che ciclicamente colpiscono le imprese. Pubblicato per la prima volta nel 2000 negli Stati Uniti, “Tra il dire e il fare” è stato accolto con entusiasmo diventando uno dei libri indispensabili nella pratica manageriale.
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