Da bambina Alice Robb sognava di diventare una ballerina. Ma all'età di quindici anni dovette affrontare la realtà: non avrebbe mai raggiunto gli standard incredibilmente elevati del mondo ipercompetitivo della danza classica. Dopo aver smesso, cercò di evitare quel mondo, solo per comprendere, anni dopo, che era ancora ossessionata dalle lezioni frequentate nella scuola di danza più elitaria degli Stati Uniti, la School of American Ballet di New York. Lezioni che le erano state utili nella vita: i tratti che la danza classica porta all'estremo – stoicismo, silenzio, sottomissione – sono infatti apprezzati nelle ragazze e nelle donne di tutto il mondo. «Non pensare, cara» diceva George Balanchine. «Basta fare». La danza classica potrà mai conciliarsi con gli ideali femministi? Da secoli essere una ballerina è sinonimo di essere bella, magra, obbediente e femminile. È uno dei cardini dell'essere donna, insieme alle molestie, agli abusi fisici e ai disordini alimentari dell'adolescenza. Ma tutto questo ha senso in un mondo post #MeToo? Alice Robb racconta le vite di famose ballerine del passato e del presente: dalla rivoluzionaria Misty Copeland, nata povera e divenuta un'icona del balletto americano, alla diva cieca Alicia Alonso, che sfruttava il calore dei riflettori e le vibrazioni della musica per orientarsi nello spazio sul palco. E racconta anche le ex compagne di corso: dalla dolce e innocente Emily, il cui corpo era considerato sufficientemente magro solo quando era troppo malata per mangiare, a Lily, vincitrice del premio che tutte avevano inseguito – entrare al New York City Ballet – solo per passare la sua prima stagione ballando otto spettacoli a settimana con un piede rotto. Robb si interroga su cosa significhi fare danza classica oggi, confrontandosi con la natura divorante di questa forma d'arte: le pratiche ossessive e pericolose per perfezionare il corpo, l'accettazione della sottomissione e l'idealizzazione della sofferenza. Eppure la danza regala ai suoi ballerini anche il «cervello nelle dita dei piedi», un modo per abitare pienamente il proprio corpo e farne un santuario lontano dalle pressioni del mondo esterno. Forse è giunto il momento di reinventare il potenziale liberatorio della danza.
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