Quello che si nota in molti romanzi polizieschi post-Vietnam è che il silenzio non è tanto una scelta narrativa per definire l'eroe, ma [...] rappresenta un consapevole rifiuto di spiegare la violenza. Gli eroi di questi romanzi, infatti, essendo caratterizzati da una sorta di drastica rinuncia alla morale, in qualche misura ritornano alla fascinazione pre-morale per la violenza. Questa tendenza, che attraversa la letteratura poliziesca americana dal 1970 a oggi, è un fenomeno che si manifesta sia sul piano tematico, come predilezione per le figure di antieroi, dei detective-disadattati che non esitano loro stessi ad andare al di là della legge, sia su quello narrativo, come rappresentazione sempre più diretta e insistita della violenza, nel suo compiersi e nelle sue conseguenze fisiche e corporee. In questo loro comportamento, questi nuovi eroi, si collocano dentro il sentiero violento dell'arte americana, tracciato in precedenza da scrittori vecchi e nuovi come Melville, Mark Twain, Ernest Hemingway, Norman Mailer e Cormac McCarthy; o da pittori come Willem de Kooning e Jackson Pollock; o, infine, da jazzisti come Charlie Parker e John Coltrane.
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