Dalla sua camera all'hotel Savoy, all'inizio degli anni Trenta, Paul Morand scrive al suo amico Valery Larbaud: «Sono a Londra, scrivo un "Londra". Come è difficile! Al confronto, New York era uno scherzo. Il cielo non mi invia nessun segno, me lo devo fare da solo con la mia stilografica». Londra è stata la mascotte della giovinezza di Morand, attaché dell'ambasciata francese prima e durante la Grande guerra: è stata la sua iniziatrice esistenziale e ogni suo quartiere fa parte del suo passato, pieno di mille ricordi che ora gli si affollano nella mente. «Ogni sera, quattro o cinque balli mi trattenevano fino all'alba e spesso ritornavo per Piccadilly quando il sole sorgeva sopra il Ritz». A differenza di Roma, Parigi, Venezia, che sfuggono agli scrittori che tentano di descriverle e a ogni libro su di loro si rivelano ancora più impenetrabili, Morand sa che fra lui e la capitale inglese c'è una corrispondenza d'amorosi sensi, sa che nessuno la potrà raccontare come lui. "Londra" non è un libro di viaggi, è un atto d'amore, «il ritratto di una città come si fa il ritratto di una donna», il più fedele perché il più disinteressato. Ancora oggi, per capire veramente Londra bisogna portarsi dietro questo libro meraviglioso, dove Morand si fa maestro di cerimonie, ci apre tutte le porte, ci svela tutti i segreti, gioca con i secoli, ne racconta la storia come un geografo, i costumi come uno storico. Una festa per gli occhi e per la mente. Edizione numerata da 1 a 1000. Prefazione di Leopoldo Carra. Introduzione di Maurizio Serra.
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