Benvenuti all’Africa Museum, un tempo Museo reale dell’Africa centrale, costruito per celebrare la gloria dell’impero coloniale belga e del suo re, Leopoldo II. È qui, in questo edificio maestoso oggi “de-colonizzato”, che Christophe Boltanski decide di passare una notte, visitandone i sotterranei, densi di stereotipi razzisti scolpiti nel marmo e nel bronzo, per poi riemergere nelle gallerie dove teche scintillanti racchiudono uccelli, pesci, rettili, primati, fino all’uomo-leopardo di Tintin. E King Kasai: cinque metri di altezza, sette di lunghezza, quattro zampe grosse come boe, due vele grigie spiegate al vento come orecchie e un centinaio di chili di avorio alla prua. Troneggia in disparte, lontano da tutto, arca simbolica della crudeltà di un tempo dimenticato. In "King Kasai" Boltanski segue a ritroso le orme del cacciatore che partecipò alla spedizione del Museo e uccise l’elefante, nel 1956, addentrandosi nell’oscurità di uno dei tanti “cuori di tenebra” dell’Occidente, densi di colpe un tempo impensabili, e ora appena ammissibili.
-Mi infilo nel sacco a pelo e ricomincio a leggere Cuore di tenebra. Secondo molti, Joseph Conrad avrebbe avvalorato gli stereotipi sull’Africa, una terra che nell’immaginario occidentale è sempre stata associata al terrore, alla ferocia, al vuoto. Alle tenebre, appunto. Ma quell’oscurità che lui esplora non è anzitutto la nostra?
King Kasai affronta l’impensabile, il colonialismo nel cuore dell’Europa. -
- Le Monde
Un libro appassionante sulle radici del mondo in cui viviamo.
- Madame Figaro
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