All'inizio del romanzo Anita si sveglia prima di tutti, corre in cucina e si prepara la colazione. In una tazza versa il latte, se lo porta alle narici, aspira e poi lo butta nel lavello. Quindi prende i cereali, li nasconde in una tasca, va in bagno e li getta nel water – non li nasconde nella spazzatura in cucina, perché la madre ormai conosce tutti i suoi trucchi e controlla anche lì. Anita ha un grave disturbo alimentare, non riesce a riconoscerlo, la sua più grande preoccupazione è invece preparare bene gli esami dell'università. Solo sotto la minaccia di un Tso accetta infine di venir ricoverata in ospedale. Nel reparto che l'accoglie trova sia coetanee sia una donna molto più grande di lei con la stessa malattia. Ma, e qui sta il cuore del problema, Anita non considera la sua condizione una malattia, anzi vede in essa una fonte di forza e di unicità. Le sue giornate nel reparto sono fatte di pasti in comune dove, come ciascuna delle altre ragazze, cerca di barare sul cibo ingerito; di studio disperatissimo perché vuole a tutti costi superare gli esami; di rapporti complicati con le altre pazienti e con chi, come la psichiatra che la segue, cerca di aiutarla nel suo percorso di guarigione che prima di tutto è un percorso di consapevolezza.
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