Ghiotto, anzi, ingordo. Non si sapeva controllare Jules Verne di fronte alle delizie della tavola. Ed era altrettanto avido di conoscenza scientifica: lo interessava tutto ciò che poteva alimentare le trame dei suoi romanzi. Ma gli eroi di tante strabilianti avventure, perennemente alla ricerca di luoghi, persone o tesori non indugiano sul cibo, anzi, spesso di trovano nella condizione di doverselo procurare. Diventano quindi cacciatori (Cinque settimane in pallone), agricoltori (L'isola isteriosa) o pescatori e allevatori negli abissi (Ventimila leghe sotto i mari) che non rinunciano al buon vino (Dalla terra alla luna) e si lasciano attrarre da sapori sconosciuti (Il giro del mondo in ottanta giorni) o stordire (Viaggio al centro della Terra) fino ad arrivare al limite estremo, il confine sottile e maligno dove la fame, spietata, acceca, confonde, trasforma (I naufraghi del Chancellor). Le loro avventure permettono di tracciare un atlante dei sapori del mondo, di spezie e intingoli che oggi non stupiscono più, perché scrittori come Verne ci hanno accompagnato a capire che il viaggio è conoscenza, anche del gusto.
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