"Una casa è un corpo" è l’esordio letterario di Shruti Swamy, dodici racconti per dodici corpi: quelli dei personaggi – perlopiù femminili – attraversati dallo spazio e dal tempo che abitano. Il corpo che è contenuto e contenitore dell’esistenza, superfice su cui si consumano trasformazioni e scoperte: è istinto materno; è desiderio sessuale; è dolore, fisico e psicologico. Le pagine sospendono il lettore tra la magia della tradizione indiana e il feroce realismo del contemporaneo americano e, in questa singolare compenetrazione di onirico e verosimile, si giocano i racconti, sull’orlo fra la vita e la morte, eros e thanatos, dimensione mitica e realistica: dai fantastici incontri con un Krishna in versione celebrity, alle bottiglie di vodka tracannate con avidità e disperazione; dai riti nuziali di matrimoni combinati, a miseri rapporti sessuali consumati a tradimento mille miglia lontano da casa. Racconto dopo racconto, si definisce sempre più un’unica vertigine metaforica: una minaccia dai contorni sfocati incombe; una figlia ammalata, un padre assente, una luce fumosa che penetra in cucina durante la prima colazione – una madre che si trova a fronteggiare l’arrivo di un incendio che da innocuo e lontano si fa via via più minaccioso, fino alla necessaria evacuazione. Eppure: la più scontata delle fughe fatica ad arrivare. Una casa, ci viene detto, è pur sempre un corpo. Lasciarlo non è semplice.
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