Il sederologo si aggira affranto per rue Saint Denis, Chateau-Rouge, dove il melting pot – un bazar nero di razze, lingue, stili, musiche, danze – sembra una diaspora africana in miniatura: congolesi, ivoriani, camerunensi, maghrebini e antillani. Tutti insieme a riempire condomini e bar chiassosi come il Jip's. Esule della Repubblica del Congo, raffinato dandy, cultore della scienza dei sederi – «Dimmi come cammini e ti dirò chi sei» –, membro della società dei sapeur – i neri che amano vestire bene perché anche «se l'abito non fa il monaco, è comunque dall'abito che riconosci il monaco» –, il sederologo è stato piantato dalla donna per l'ibrido, un primitivo suonatore di tam tam in un gruppo che non conosce nessuno. Il sederologo, fedele alter ego dell'autore, ricorre allora alla scrittura – tormentata, diaristica, colorita – per attutire il dolore dell'abbandono, la delusione della paternità sfumata. Mabanckou, con umorismo e ironia, mescola finzione e ricordi autobiografici per dire la sua sulla condizione dei neri nella Francia di oggi, specchio di un'integrazione progredita ma difficile, alternando uno stile potente intriso di citazioni alla lingua viva della Banlieue, perché «la lingua francese non è di proprietà della Francia, ma di chi la parla.»
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