Alla fine del ventesimo secolo, in un mondo orfano della Guerra Fredda, l’ex colonnello dell’Armata Rossa Sergej Orlov, eroe dell’Afghanistan, si è reinventato lavorando come mercenario per una delle tante società di sicurezza privata sorte in Russia dopo il crollo dell’Urss. Un nuovo contratto porta Orlov nell’Iraq ancora governato da Saddam Hussein, insieme al compagno Peter Jennings, un ufficiale inglese passato ai sovietici alla fine degli anni Settanta. Il committente è un capo-mafia che ha messo sotto contratto la loro squadra per assassinare il fratello e assumere il controllo del clan, in un villaggio sperduto sulle montagne del Nord del paese. Apparentemente si tratta di una missione di routine, ma le cose prendono subito una strana piega, e i mercenari saranno costretti a mettere a frutto le molte esperienze di guerra della loro vita in un territorio sconosciuto. Vicino a "I mastini della guerra" di Frederick Forsyth e "Sulle ali delle aquile" di Ken Follet, "L’arte di uccidere un uomo" riscrive l’Anabasi di Senofonte in chiave moderna, con la Guerra Fredda al posto della guerra del Peloponneso e al posto degli opliti greci i soldati del disciolto Patto di Varsavia, uomini che, alla caduta del Muro, non hanno avuto altra possibilità che quella di continuare a praticare il mestiere delle armi, perché di tutte le arti quella di uccidere un uomo è la più semplice. Un romanzo di storia, guerra, e sopravvivenza, al cui centro brillano gli ultimi bagliori del ’900.
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