Marchette, recensioni pilotate, lisciate di pelo: il giornalismo culturale ha messo al bando uno dei suoi generi più audaci, la stroncatura. Non più duelli, dunque, ma pranzi di gala, passerelle su carta stampata dove persino, anzi soprattutto i più mediocri tra gli scrittori (che della conventicola letteraria fanno parte), ricevono gli omaggi della critica. Da diversi anni e da diverse testate, Davide Brullo, un poeta prestato al giornalismo, ha riportato in auge l'arte della stroncatura e ha messo a soqquadro il banchetto – come Rimbaud ha avuto l'impudenza di orinare tra i tavoli senza badare ai papi della letteratura, ai mandarini e ai duci dell'editoria, sfregiando gli intoccabili. Quest'antologia delle sue stroncature non solo smaschera il peggio della nostra cultura contemporanea, ma mette a nudo tutta una cattiva tradizione italiana fatta di improvvisazione, parvenuismo, dilettantismo. Osteggiato, oltraggiato, Brullo paga con l'allontanamento dai giornali la sua anarchia culturale: «Ogni stroncatura è sempre l'ultima – quella che può stroncarti la carriera. Altrimenti, è un gioco. E l'arte di stroncare non è un gioco – è teatro. Cioè, il luogo dove si muore per davvero, pubblicamente».
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