Cosa succede quando un’arte nata per strada dalle frange più disagiate della gioventù urbana, con il suo linguaggio disarticolato, i suoi codici spontanei, la sua rabbia indisciplinata, perde ogni carica eversiva e diventa il megafono dello Stato, di qualche multinazionale o di un brand? È questa la triste parabola della Street Art, strumento dei municipi comunali per “valorizzare” periferie degradate invece di operare interventi seri di ripristino, oppure dispositivo pubblicitario utilizzato da grandi aziende a scopi promozionali. Gli stessi Street Artist sono diventati dei brand, Banksy tra tutti, forte di provocazioni a buon mercato, sentimentalismo spicciolo e un immaginario sottratto a Fight Club. Questa ribellione anti-sistema, sotto lo stencil, nasconde una delle più grandi operazioni commerciali degli ultimi anni, un’arte instagrammabile, indistinguibile dalla guerriglia marketing, che alla rivoluzione o al suicidio ha preferito il business di magliette e tazzine. Vincenzo Profeta, tra i fondatori del Laboratorio Saccardi, collettivo di artisti palermitani, con il suo stile vertiginoso, scrive questo pamphlet senz’alcuna pretesa argomentativa e senza alcuna lucidità, ma solo con un odio sano, depurato dal rancore, contro la decadenza di quest’arte.
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