Avi e Saleem sono entrambi israeliani, uno è ebreo, l'altro arabo. I due si sono conosciuti per caso, e per caso sono diventati amici. Ma la loro amicizia è qualcosa che nessuno può capire, privata, quasi segreta. Entrambi hanno perso la madre da bambini, Avi abbandonato, Saleem orfano, entrambi sono vittime dei rimpianti e dei rancori dei loro familiari, sono tenuti sotto scacco l'uno dal fervore del padre, convinto sostenitore della vita del kibbutz, l'altro dall'odio e dalle rivendicazioni della nonna, profondamente ferita dalla vita. E mentre Saleem ha deciso di vestire la divisa dell'esercito israeliano - lui che, come arabo, non è obbligato - Avi sceglierà infine l'obiezione di coscienza, scontando il suo rifiuto con la prigione. Così, nel silenzio della cella, durante le notti insonni, alla luce di una candela, Avi scrive al suo amico, ucciso durante uno scontro mentre tentava di fermare un ragazzino pronto a tirare un sasso contro un soldato. Ogni settimana viene a trovarlo in carcere Sahar, la vedova di Saleem. La giovane ha una richiesta per Avi: che la sposi e la porti via da quella terra senza futuro. In uno stile asciutto e vibrante, Emma McEvoy racconta il rimpianto e la perdita, e le contraddizioni di due comunità costrette a fronteggiarsi, dove rompere gli schemi comporta una frattura profonda e definitiva con le proprie radici e con una parte di sé.
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