La grande arte ha sempre in sé qualcosa di anarchico, è sempre una critica dell’esistente. E il cinema non fa eccezione, anche se ha indubbiamente due anime: la prima consolatoria, ovvia, tesa a intorpidire le menti (prevalente), e la seconda provocatoria, imprevista, pronta a mettere in discussione l’ordine delle cose (minoritaria). È appunto di quest’ultima che si occupa Fofi, di quel cinema che ha cercato l’oltre e il fondo, che ha esplorato territori e linguaggi capaci di mettere a nudo ogni maschera del potere, ogni cultura dell’accettazione, ogni mercato dell’immaginazione. Tanti gli esempi di questo rapporto diretto o indiretto tra cinema e anarchia che possono essere rintracciati in film e registi tanto del passato, a partire da maestri come Vigo e Buñuel, quanto del presente, in autori come Kaurismäki, Ōshima o Ciprì e Maresco. Ne viene fuori un sorprendente affresco che ci dà conto di quell’inesausto filone della sfida e della grazia che continua sotterraneamente ad agire nel cinema del nostro tempo.
Biografia: Goffredo Fofi (Gubbio 1937) si è occupato di critica cinematografica e letteraria, ha diretto e fondato riviste di interesse culturale e politico (tra cui «Quaderni piacentini», «Ombre rosse», «Linea d'ombra», «Lo straniero» e «Gli asini»), ha scritto numerosi libri (tra i più recenti: Marlon Brando. Una tragedia americana, Elogio della disobbedienza civile, Il racconto onesto. 60 scrittori, 60 risposte, Salvare gli innocenti. Una pedagogia per i tempi di crisi) e ha partecipato a moltissime esperienze di intervento sociale ed educativo dalla metà degli anni Cinquanta a oggi, a Palermo, Roma, Torino, Milano e Napoli. Con elèuthera ha pubblicato Da pochi a pochi (2006), Il cinema del no (2024 n.e.), L'oppio del popolo (2019), Fellini anarchico (2021) e Breve storia del cinema militante (2023)
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