Frammentario è un incendiario delle parole, un iconoclasta delle strutture formali tradizionali, un eretico dell’enunciato. Frammentario è il dimidiato per scelta programmatica, per poetica esistenziale, un balbuziente recidivo, un anarchico della decostruzione. Se esistesse un manifesto del frammentario reciterebbe così: frammentare la geografia, decontestualizzare i luoghi, numerarli e trasformare gli esterni in interni, le stanze in strofe, i porti in portici, le periferie in centri. E qui ricordare e immaginare poesia in ordine sparso, creare mostri, sintesi eteroclite dei nostri scarti; recitare e poetare quindi come riciclaggio, salvataggio del rifiuto e del rifiutato, del politicamente scorretto, scagliandolo in versi, in frammenti, negli occhi e nelle orecchie del lettore. Mèta del frammentario sarà poi una panica dispersione nei suoi stessi versi, nell’umile e militante convinzione di essere «solo un ammasso di carne imbellettato da un paio di pensieri. Nulla più, nulla meno».
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