Scrivere è anche un atto terapeutico, ma la parola terapia mi suona un po’ asettica, perché quello che ho in mente è più simile a questo: se il dolore ti tiene stretto, se la noia, la paura e la banalità stanno annientando la maggior parte delle persone, puoi sempre fare qualcosa: puoi prendere in mano un quaderno e una penna e cominciare a raccontare. Perché finché avete un quaderno e un paio di penne potete sentirvi ancora completamente vivi. Scrivendo la propria storia a volte si arriva a toccare questa enorme forza elementare che siamo, a dar voce a quella parte di noi che cerchiamo sempre di tenere a bada perché ci hanno detto che è sconveniente, non è presentabile in pubblico. Eppure quella parte forse sa che siamo senza limiti, e che possiamo essere sconfinati. Gli scrittori e le scrittrici che amo sanno usare i fatti dell’esistenza tenendo unite le delusioni, la fame e la sete, la solitudine e uno squarcio di grazia, speranza e bellezza. Sanno raccontare gli amori, le famiglie, la pazzia, l’amicizia: sì è tutto folle, ci dicono, ma è anche stupendo far parte del gioco.
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