«Letterato per i politici, ideologo per i letterati», com'ebbe a definirsi, Franco Fortini in questo libro pubblicato per la prima volta nel 1957 è già il saggista eclettico e rigoroso e il critico affilatissimo destinato a influenzare più di una generazione e a lasciare un'impronta indelebile nella seconda metà del Novecento. La generazione del '68 incontrò in "Dieci inverni" alcuni dei suoi temi privilegiati, come il rifiuto dello stalinismo (ma anche del progressismo), la denuncia dei ritardi della cultura della sinistra ortodossa, l'analisi della nascente industria culturale e della funzione della critica in essa; ma è l'ostinata determinazione a non disgiungere la dimensione etica da quella politica che segna ogni pagina del libro - «uno dei tanti che almeno dall'età giacobina hanno in Europa chiamato a resistenza e rigore (o si dica alle virtù civili)» - a definire la cifra distintiva e più durevole dell'intera opera fortiniana. Con un saggio di Matteo Marchesini.
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