Due sono i termini con cui, rimestando storie, cronache e teorie si è detta architettura e con cui l’architettura si dice: enclave e progetto totale. Quattro sono le locuzioni che precisano, in un articolato paesaggio di figure, la datità dell’architettura. Uno l’assunto che conchiude il libro: l’architettura isola. Il volume indagherà esclusivamente prigionie volontarie e consenzienti per affermare che l’architettura da sempre è solo una questione d’enclave e che il progetto da sempre si misura con la totalità. A fondamento del reale e dell’abitare l’autore pone il processo nesonomopoietico, vale a dire la tendenza dello spazio a farsi isola e legge. Come le isole sono modelli del mondo nel mondo confinati in una cornice spazialmente e normativamente delimitante, così l’enclave non solo presuppone il progetto totale, ma è lo spazio paradigmatico dell’architettura; al pari del progetto d’insularizzazione che esplicita plasticamente l’insularità dell’isola, l’enclavizzazione esplicita l’implicita e consustanziale enclavità dell’architettura, la sua autochiusura. Giunti a riva, siamo in balìa dello spazio e delle leggi dell’isola, siamo in balìa dell’architettura totale. L’architettura quindi rinsalda il rapporto originario della legge con la vita, ovvero, l’abbandono. L’architettura dell’enclave edifica la nostra biografia, questo è tutto, questo è il progetto totale.
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