Laurie Anderson non ha mai gradito per sé il titolo di "musicista": semmai cantastorie, semmai menestrello o addirittura folksinger, se fosse possibile slegare quel termine da chitarre acustiche e Greenwich Village e immergerlo nella giungla elettronica delle metropoli del 2000. Questo per dire l'importanza dei testi nei suoi celebrati spettacoli, che pure traboccano di meraviglie sonore, di straordinari effetti video/teatrali: testi che si muovono con calcolata lentezza in un magico territorio tra sogno, ricordo e cronaca surreale e assumono spesso la forma del dialogo a più voci, tutte puntigliosamente interpretate dalla mutevole protagonista ("Amo essere soprattutto una indossatrice di voci"). Raramente il songwriting ha raggiunto questi livelli di fantasia e originalità stilistica: così come non si era mai visto, prima della Anderson, un artista in grado di conciliare arte d'avanguardia e puro divertimento.