di Elisa Cappai Per la seconda volta in trentaquattro anni pochi giorni prima del mio compleanno, in seguito a un’intensa sessione di spinning, sono finita in ospedale per una rabdomiolisi da sforzo: un danno muscolare che implica il riversamento di alcune sostanze cellulari nel sangue, tra cui la mioglobina, molto pericolosa per i reni. I reni, quei due fagioli ai lati della colonna vertebrale in cui secondo gli orientali risiede la nostra energia vitale, e che secondo la medicina occidentale purificano ed eliminano l’urina. Li avvertivo, finalmente, anche se attraverso un dolore atroce e la paura che alla fine mi avrebbero attaccato a una macchina per filtrare tutto quel brodo tossico stagnante nella mia zona pelvica. Lezioni di Anatomia: dal podcast al libro Questa introduzione personale è necessaria per trasmettere non la paura ma il guazzabuglio di impressioni che mi hanno attraversato qualche giorno dopo, quando ho avuto tra le mani Lezioni di Anatomia – il corpo umano in quindici storie, edito da Minimum Fax e tradotto da Veronica Raimo. Quelle suggestioni che ribollivano sommesse anche quando l’ho terminato. Si tratta di un libro diverso dagli altri. Chi conosce le pubblicazioni Minimum fax lo noterà senz’altro per l’insolito formato editoriale con la copertina cartonata e di dimensioni più ampie del solito. Il libro nasce in Inghilterra dal programma radiofonico di BBC Radio 3 “A body of essays”, un format che ha coinvolto quindici illustri scrittori inglesi chiamati a scrivere un pezzo su una parte del corpo a loro scelta. È bastato questo a incuriosirmi. Dall’etere all’editoria: “Beneath the skin – great writers on the body”, viene pubblicato nel 2018 sull’onda del successo dei podcast e programmi radio che diventano libri (anni fa mi innamorai de La storia del mondo in 100 oggetti di Neil Mcgregor, edito da Adelphi, nato anche questo da un programma di BBC Radio 4). Adesso, a distanza di quasi un anno, Lezioni di Anatomia arriva in Italia e ci connette a un tema intimo e, anche se non lo si direbbe, per niente scontato. Il libro è appunto costituito da quindici contributi, per quindici diverse parti del corpo – soprattutto organi interni, fatta eccezione per pelle, naso, occhi e orecchie – in cui ogni autore sonda il senso, la funzione e la metafora dell’organo, per la sua vita e per la vita di tutti, nel corso della storia, della letteratura e dal punto di vista scientifico. Ho scoperto poche cose che sapevo e moltissime altre che mi hanno stupito. Scritture viscerali: dall’intestino al grembo Il libro inizia con un primo saggio sull’intestino, di Naomi Alderman. Che il saggio di partenza sia tutto incentrato fondamentalmente sulla cacca, scusate il gioco di parole, non l’ho digerito subito. Leggo prima di andare a dormire, subito dopo cena, e sono suscettibile. Ma la Alderman mi ha schiaffato subito di fronte a un’evidenza scientifica: il mio corpo conta molto di più di quanto penso. E può prendere il sopravvento da un momento all’altro. “Noi contiamo più cellule di flora intestinale che di corpo umano. Se dovessi indire un referendum all’interno della mia pelle dove ogni cellula può esprimere un voto, io non riuscirei a essere eletta.” L’evenienza estrema di un trapianto fecale per ripopolare di batteri il tratto intestinale può sembrare qualcosa di vomitevole, in realtà è la conferma che tramite l’intestino siamo in contatto con il raccapricciante processo di trasformazione e deperimento a cui tutti siamo destinati. Anche lì dove risiede ciò che non vogliamo vedere – la morte, la cacca – c’è la straordinaria capacità vitale del nostro organismo di fare ciò che deve fare dall’inizio alla fine. A proposito di inizio e fine, c’è una sottile connessione tra il saggio di apertura sull’intestino (e tutta questa materia nauseante) e il saggio che chiude il libro, con la scrittura poetica di Mark Ravenhill a decantare l’organo da cui tutti nasciamo: il grembo. Da ciò che ci consente di “lasciare andare” a ciò che ci permette di venire al mondo. E così, dopo un percorso che si sviscera tra dettagli autobiografici e suggestioni letterarie, pieni di tutta questa sostanza, arriviamo al ventre. Ravenhill scrive: “Il corpo, la cosa incarnata, è cruciale alla nostra comprensione.” Definendo così anche e soprattutto quello che non vediamo. Il saggio di chiusura non è un approdo ma un principio, una spinta iniziale. Si arriva a fine lettura, come al termine di una gestazione, a un’embrionale comprensione tenera e misteriosa, della cosa incarnata. Siamo proprio fatti così Siamo fatti così è sbarcato su Netflix recentemente, con un’accoglienza calorosissima da retromania. Tutti noi siamo cresciuti affascinati da questo viaggio dentro i nostri vari apparati. Per questo la lettura di Lezioni di anatomia risulta così gradevole. È famigliare, per forza di cose. Durante i quindici capitoli mi sono ritrovata più volte ad assillare mia madre per chiederle come si era risolta la questione del nodulo maligno alla tiroide di mia zia, se mia sorella avesse davvero mai subito un’operazione all’appendice come mi sembrava di ricordare e quanti anni aveva quando le avevano asportato la cistifellea. Ho anche pensato un sacco ai miei reni, quando Annie Freud ne descriveva così finemente la fisionomia, dopo averli acquistati al mercato, dipinti, e infine cucinati (l’ottima ricetta di rognoni flambè si trova a pagina 73). Non potrei non voler bene ai miei reni dopo quello che mi è successo, dopo aver scoperto che nel Vecchio Testamento vengono menzionati trenta volta a dispetto della totale assenza del cervello. Mi sono trovata anche a storcere il naso con raccapriccio. Insieme a Christina Patterson, affetta in gioventù da acne e narratrice della pelle, durante le pagine dell’incontro con le conseguenze delle malattie cutanee tra le teche del Guy Hospital. Di fronte al bambino arlecchino con la pelle crepata in squame a forma di diamante e altre cosine poco simpatiche. Leggendo Philip Kerr descrivere il funzionamento macabro delle vecchie lobotomizzazioni. Una ebbe conseguenze disastrose su Rosemary Kennedy, sorella di JFK, colpevole di essere poco allineata e quindi mentalmente disturbata. Le fecero un’anestesia locale, le incisero l’osso cranico, la membrana che ricopre il cervello – si chiama dura madre, non è stupendo? – e per assicurarsi che tutto stesse andando al meglio le chiesero di recitare il padre nostro. Sulla base della coerenza delle risposte scelsero quanto tagliare. Quando iniziò a tentennare dichiararono chiusa l’operazione. Ma non c’è stato solo ribrezzo, ho percepito tanta empatia per esperienze che passano direttamente da dentro, da lembi di carne, tessuti, cartilagini che tutti possediamo (forse). Geografia degli organi interni In questa esplorazione del corpo umano la metafora del viaggio sembra banale, difatti lo è. Ma voglio poter parlare di mappa, di geografia degli organi interni. I quindici scrittori si raccontano a partire da un organo, come se la loro voce avesse origine da quel punto preciso, sbaragliando l’appartenenza geografica apparentemente immutabile di ognuno. Kayo Chingonyi scrive: “È proprio questa domanda, come sono morti i miei genitori, che mi porta a parlare del sangue” del suo sangue, e della sua terra, lo Zambia, dove circa mezzo milione di bambini ha perso uno o entrambi i genitori a causa del virus. È sicuramente uno dei racconti più intimi e con la chiusa più toccante. Imtiaz Dharker sceglie un organo con uno straordinario superpotere di rigenerazione, che la costringe a parlarci degli occhi gialli dei malati di cirrosi incontrati all’ospedale e di amore materno: “La mamma di Cathy spesso le diceva che era un pezzo del suo cuore. Mia madre invece mi diceva che era un pezzo del suo fegato”. Nell’Antica Roma, in Grecia, nel mondo arabo come nella lingua urdu della madre di Imtiaz Dhaker il fegato è la vera sede dell’amore. “Il luogo dove mia madre stipava i suoi sentimenti più profondi […]” ed è qui che il cancro l’ha colpita. Daljit Nagra ci parla dei polmoni, dell’asma e dei genitori sikh seguaci dei rimedi orientali. Lo trascineranno fino al Tempio d’Oro di Amritsar dove sarà costretto ad affondare la testa nel fiume per fuoriuscirne sempre con il respiro corto, e ritrovarsi costretto a un tuffo nella dipendenza da Ventolin. Omaggia Keats, cita Shakespeare (che troviamo moltissime altre volte nel libro) e ci conferma in modo ispirato che “la poesia […] è un evento fisico”. Come scrivere, come leggere. Questa mappa ha anche il pregio di non essere solo narrata o immaginata. Si rivela concreta, effettiva. Lo diventa grazie alle illustrazioni di Patrizio Marini che affiancano ogni inizio di capitolo. Organi astratti, delineati nel loro profilo essenziale e colorati, quasi a formare una possibile cartina politica, una struttura vivace che vediamo intera, compatta e armoniosa nella bellissima illustrazione di copertina. Il libro si “incarna” bene, in un progetto grafico accurato e con un’impaginazione incantevole. Lezioni di anatomia forse non sarà uno di quei libri che mi hanno cambiato la vita, ma sicuramente è un libro dotato di vita, intelligente, provvisto di tutti gli attributi che dovrebbe possedere una lettura benefica.